tfr come funziona? meglio in azienda o nei fondi pensione?

Il trattamento di fine rapporto, definito anche liquidazione o buonuscita, è un accantonamento che il lavoratore versa mensilmente nell’arco della sua carriera lavorativa ed ha lo scopo, o almeno lo aveva originariamente, di servire al sostentamento del lavoratore in caso di cessazione del suo rapporto di lavoro.

In caso di perdita del posto di lavoro infatti senza il tfr il lavoratore si troverebbe privo di reddito, fatti salvi gli ammortizzatori sociali che il nostro ordinamento prevede. Quindi il tfr doveva servire in origine proprio come una sorta di paracadute finanziario di cui il lavoratore poteva disporre nei periodi di disoccupazione.

In seguito questo accantonamento ha mutato leggermente la sua natura, o per meglio dire si è arricchito di nuove funzioni, come ad esempio quella di servire come capitale d’emergenza in caso di malattia, ma di questo ne parlerò in seguito.

Intanto cominciamo con il capirne il funzionamento.

Chi versa il TFR?

Il tfr viene versato mensilmente dal datore di lavoro che in occasione del calcolo della busta paga tiene conto oltre che delle trattenute fiscali e contributive mensili anche la trattenuta relativa al tfr. Il tfr infatti è una trattenuta alla fonte.

Di solito in busta paga compare alla voce accantonamento tfr o simili, a meno che non viene versato in un fondo pensione, nel qual caso comparirà sotto la voce relativa al fondo stesso.

Come si calcola il TFR?

La legge prevede che il datore di lavoro accantoni al tfr una quota del reddito lordo annuo del lavoratore diviso per un coefficiente di 13,5. In pratica è come dire che il tfr annuo è pari a circa una mensilità lorda o per dirla in termini percentuali il tfr accantonato è pari al 7,41% della retribuzione annua lorda. Se ad esempio un lavoratoratore guadagna 30000 euro annui, il tfr che accantonerà ogni anno sarà pari a:

euro 30000/13,5 = euro 2222,22

anche se in realtà una parte di questa cifra viene versato ad un apposito fondo di garanzia presso l’INPS. Questo fondo interviene liquidando i lavoratori allorchè un’azienda in fallimento non riesce a pagare loro il tfr.

La percentuale che viene quindi accantonata di fatto è pari al 6,91% della retribuzione annua lorda, per tornare al nostro esempio:

euro 30000*6,91/100= euro 2073

Come si rivaluta il TFR?

Il montante del tfr, ovvero il totale del tfr versato fino a un certo momento, viene rivalutato con un procedimento un po’ complicato, ma che proverò a spiegare in parole semplici. Il montante viene rivalutato tenendo conto dell’inflazione come nel seguente esempio, in cui si considera un montante di euro 30000:

inflazione al 3% -> euro 30000 + 30000*1,5/100 + 30000*(0,75*3)/100= 30000 + 450 + 675 = euro 31075

In sostanza il tfr si rivaluta nella misura fissa dell’1,5% più il 75% del tasso di inflazione, quindi guadagna praticamente sempre, o per meglio dire potrebbe perdere sono in caso di inflazione molto negativa (o deflazione).

Dove viene versato il TFR?

Questa è una domanda che necessita di una precisazione prima di rispondere. Fino all’entrata in vigore della legge n.25 del 5 dicembre 2005 il tfr veniva versato in azienda ed entrava a far parte delle fonti di autofinanziamento.

A partire da quella data, con l’avvio della riforma della previdenza complementare, è stato introdotto un meccanismo di scelta della destinazione del tfr mediante il quale è il lavoratore a decidere dove versare la sua liquidazione, potendo scegliere se lasciarla in azienda come era prima della riforma, oppure versarla nei fondi pensionistici, ovvero in fondi che si occupano di accumulare e amministrare il tfr dei lavoratori.

Esistono due tipi di fondi pensionistici e nei prossimi paragrafi proverò a spiegarli meglio.

Dove conviene investire il TFR?

Se fino al 2005 questa domanda sarebbe stata priva di senso, visto che il tfr poteva confluire solo in azienda e veniva rivalutato secondo il metodo che ho descritto sopra, oggi invece è del tutto ragionevole chiedersi se e dove sia possibile “investire” il tfr, dato che le formule che il lavoratore può scegliere sono diverse.

Il lavoratore infatti oggi deve scegliere dove accantonare il suo tfr fra le seguenti opzioni:

  • In Azienda, se trattasi di azienda con meno di 50 dipendenti, oppure al FondoTFR del Tesoro istituito presso lINPS in caso contrario;
  • Ai Fondi pensionistici negoziali o fondi chiusi che sono fondi organizzati e gestiti collegialmente da amministratori scelti nelle organizzazioni sindacali di categoria e da gestori privati;
  • Ai Fondi pensionistici aperti i quali sono invece fondi a tutti gli effetti privati, molto simili ai fondi comuni di investimento;
  • Non fare niente, nel qual caso il suo tfr viene comunque destinato al fondo negoziale della sua categoria, secondo la regola del silenzio-assenso;

Nella scelta della destinazione del tfr occorre tenere conto di alcuni elementi:

  • I fondi pensione negoziali hanno solitamente costi di gestione minori rispetto ai fondi aperti;
  • Aderendo ai fondi negoziali il trattamento fiscale è agevolato, dato che sul montante finale viene applicata un’aliquota inferiore;
  • L’età conta molto, dato che maggiore è il numero di anni che mancano alla pensione e più grande può essere l’effetto moltiplicativo prodotto da una buona (o cattiva) gestione del fondo;

In linea di massima quindi dalle precedenti considerazioni si potrebbero desumere questi principi generali:

  • Se mancano pochi anni alla pensione è preferibile non aderire ai fondi pensione perchè non si otterrebbero grandi vantaggi, mentre sarebbero più probabili le perdite;
  • In periodi di forte inflazione (e i prossimi anni non sembrano andare in questa direzione) è conveniente lasciare il tfr in azienza, per l’effetto del meccanismo di adeguamento al costo della vita visto in precedenza. Con i fondi pensione la protezione del capitale non è altrettanto garantita, tranne che per alcuni prodotti che hanno specifiche clausole di protezione del valore reale del capitale;
  • Se si aderisce ai fondi pensione negoziali si ha il vantaggio che il datore di lavoro versa un contributo  dell’1% in aggiunta a quello del lavoratore, portanto il contributo complessivo al 7, 91%. Questo contributo del datore di lavoro è tanto più importante quanto più giovane è l’età anagrafica del lavoratore (per l’effetto moltiplicativo dei rendimenti);

Infine alcune le risposte ad alcune domande comuni.

Quando si ha diritto alla liquidazione del TFR?

Si ha diritto alla liquidazione nei seguenti casi:

  • Cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento (quale ne sia la causa);
  • dimissioni;

Quando si può chiedere l’anticipo del TFR?

L’anticipo del tfr si può richiedere per i seguenti motivi:

  • Congedi per astensione facoltativa di maternità, formazione e formazione continua anche aziendale;
  • Spese mediche per terapie, interventi, etc.;
  • Acquisto o costruzione della prima casa per se o per i figli, ristrutturazione straordinaria della casa di proprietà;

Bisogna però tenere presenti i seguenti requisiti per poter chiedere l’anticipo del tfr:

  • Rapporto di lavoro subordinato continuativo (dipendente pubblico o privato) da almeno otto anni;
  • Misura massima del 70% dell’importo del TFR maturato in azienda;
  • Una sola possibilità di richiesta;

Quando non si ha diritto al TFR?

In caso di cessazione del rapporto il tfr viene liquidato in caso che il lavoratore abbia prestato servizio per almeno 15 giorni continuativi nell’arco di un mese. Questo significa che se un lavoratore lavora solo per venti giorni a cavallo di gennaio e febbraio non matura il diritto al TFR.

Come viene tassato il TFR?

Il tfr viene tassato con le nuove aliquote a partire dal primo gennaio 2014:

  • In caso di destinazione del tfr nei fondi pensione, l’aliquota è del 20%;
  • In caso di destinazione in azienda l’aliquota è del 17%;
  • Se si chiede l’anticipo del tfr la tassazione è quella marginale sui redditi IRPEF;

Il TFR è reversibile?

Si, come recita la circolare INPDAP n.29 del 8.6.2000, “in caso di decesso del prestatore di lavoro il TFR deve essere corrisposto per diritto proprio a favore del coniuge, dei figli, e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, dei parenti entro il terzo grado e degli affini entro il secondo grado“.

Per approfondire:

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