Come guadagnare in borsa ed evitare le perdite

In questo articolo vedremo come comprare azioni senza rischiare grosse perdite e magari guadagnare.

Ti starai chiedendo perchè non ti ho prospettato la possibilità di guadagni strabilianti semplicemente comprando una lista magica di azioni vincenti oppure suggerendoti un metodo infallibile per guadagnare in borsa: la risposta è perchè ti ingannerei sicuramente. Non esiste nessuna lista di azioni o metodo che possano farti guadagnare tanto e senza rischi, e se qualcuno te ne sta proponendo una, stanne alla larga.

Il primo grande successo di un investitore in campo azionario è invece quello di imparare ad evitare le perdite. Questa è una delle lezioni più difficili da apprendere, ma se riesci a farla tua, eviterai di abbandonare prematuramente l’investimento in azioni a causa di perdite da cui non puoi più risollevarti.

La bolla dei titoli tecnologici del 2000-2001

Il mio primo investimento in borsa (e la mia prima grande lezione) risale al 2000, alla vigilia del crollo delle borse legato allo scoppio della bolla dei titoli tecnologici. In quell’occasione, la mia grande fortuna fu quella di aver investito una somma modesta, ma la perdita che subii fu di quasi l’80% del controvalore acquistato. Fu un vero e proprio shock, e mi resi conto di come ci si possa davvero fare male con i mercati finanziari.

Eppure prima del crollo nulla lasciava presagire cosa sarebbe successo di lì a poco. Tutti erano euforici e ottimisti riguardo alle infinite possibilità di guadagno che i titoli legati ad internet (la cosiddetta New Economy) avrebbero assicurato. Tranne pochi che venivano bollati come cassandre, l’intera comunità finanziaria mondiale nemmeno si sognava di mettere in discussione il paradigma della nuova economia, che avrebbe reso tutti ricchi e felici, e tutti correvano a comprare azioni come fossero generi alimentari al supermercato.

Avevo molti colleghi e conoscenti che erano diventati “amici” dei direttori delle loro banche di fiducia, e da questi ricevevano consigli se non vere e proprie “soffiate” sui titoli da comprare, quasi mi facevano invidia, io che non conoscevo nessuno e facevo tutto da solo.

Tutti compravano tutto e a qualsiasi prezzo, pur di accaparrarsi un titolo dot-com. E non si chiedevano se il prezzo fosse troppo elevato, perchè il giorno dopo potevano rivendere ad un prezzo maggiore.

La bolla immobiliare del 2006-2007 e la crisi dei mutui subprime

Il 2006 è stato un altro anno di passione per i mercati finanziari, ma a differenza del 2000 la causa non si è generata all’interno dei mercati stessi. A provocare la serie di crolli nelle borse che hanno trascinato l’economia mondiale nell’attuale situazione di depressione economica è stato invece il mercato immobiliare.

Dopo lo scoppio della bolla dei titoli tecnologici, i grandi capitali di tutto il mondo erano alla ricerca di un collocamento che non potevano più trovare nelle borse. Fu così che questa enorme massa di denaro finì con l’essere investita quasi esclusivamente nel mercato immobiliare, forte dei massicci incentivi economici e legislativi dei governi (specialmente quello americano) che volevano assicurare una casa ad ogni cittadino (elettore), e dei tassi di interesse, tenuti artificialmente bassi dalle banche centrali.

I mutui per l’acquisto della casa venivano concessi quindi a persone che in condizioni normali non avrebbero potuto in alcun modo accedere al credito perchè privi di ogni tipo di garanzia, prima di tutte quella del lavoro (i cosiddetti mutui subprime). Anche in Italia in quegli anni era possibile acquistare immobili finanziandoli interamente, anzi in molti casi i periti, che dovevano stimare il corretto valore delle case per l’erogazione del finanziamento, le sovrastimavano affinchè le banche potessero concedere prestiti di importo superiore.

Questa follia collettiva non tardò a trasferirsi ai mercati finanziari attraverso il meccanismo della cartolarizzazione: Le banche, per ripulire i loro bilanci dai mutui-spazzatura, cedevano questi ultimi ad operatori finanziari (o ad altre banche) i quali, a loro volta, li impacchettavano all’interno di altri strumenti finanziari (i famigerati Collateralized Debt Obligation o CDO)  che vendevano sul mercato. Questi titoli venivano a loro volta utilizzati per costruire altri titoli, e così via fino a quando la reale natura del credito sottostante scompariva in mezzo a montagne di carta e diventava appetibile a tutto il sistema finanziario. In questo modo il rischio collegato ai mutui subprime venne progressivamente trasferito dalle banche all’intero sistema finanziario e industriale.

La mastodontica macchina per mascherare cattivo debito crollò in modo brusco nella seconda metà del 2006 quando i tassi di interesse cominciarono a salire e i possessori di mutui iniziarono a diventare insolventi. Molte banche fallirono, le industrie le seguirono e il mondo intero cadde nella più profonda crisi degli ultimi cento anni.

Conoscere il giusto prezzo

Questo è il grafico che mostra lo S&P Composite real price-earnings ratio and interest rates, e riporta l’andamento del rapporto prezzo/utili delle società dello S&P Composite e l’andamento dei tassi di interesse per il periodo che va dalla fine del 1800 fino ad oggi.

Historic PE Ratio

Fonte: irrationalexuberance.com

Il rapporto prezzo/utili è uno dei più importanti indicatori della sopravvalutazione (o sottovalutazione) di un titolo azionario. Esso permette infatti di mettere in relazione il prezzo di una azione con la sua redditività, perciò può essere utilizzato per confrontare i prezzi delle singole azioni, ma anche di interi settori, listini o periodi storici. Nella figura infatti viene calcolato il prezzo/utili del listino S&P Composite per tutto il novecento, dando la misura visiva immediata dei periodi in cui le azioni erano mediamente sopra o sottovalutate.

Come puoi vedere dal grafico il P/E in oltre un secolo si è attestato mediamente tra un minimo di 10 e un massimo di 20, quindi si può affermare con ragionevole certezza che valori al di sotto dell’intervallo segnalano un periodo di sottovalutazione mentre livelli molto al di sopra significano bolle speculative. Proprio quello che è successo nell’anno 2000 di cui ho parlato prima e nel 1929, anno di inizio della grande depressione.

Il rapporto mercato azionario/mercato obbligazionario

Continuiamo però ad osservare attentamente il grafico: un’altra tendenza che sembra emergere con chiarezza è la correlazione inversa fra il rapporto prezzo/utili e il livello generale dei tassi di interesse.

Questa relazione è evidente soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni sessanta fino agli inizi degli anni ottanta, un periodo che molti ricordano per i buoni postali e i titoli di stato con rendimenti a due cifre, in cui appunto i tassi di interesse in tutto il mondo salirono vertiginosamente e provocarono un corrispettivo calo delle borse azionarie. Infatti si nota chiaramente la discesa del rapporto prezzo-utili proprio in corrispondenza di quel periodo.

Per spiegare questa relazione è necessario però fare alcune premesse.

La prima premessa è che la definizione di livello di tassi di interesse si riferisce tanto ai titoli governativi quanto a quelli corporate. I tassi dei due comparti sono infatti strettamente legati: quando il livello generale dei tassi di interesse sui titoli pubblici sale anche quello dei rendimenti delle società si muove nello stesso senso (e viceversa) perchè gli investitori spostano i loro capitali dai titoli a rendimento più basso a quelli a rendimento più alto, riequilibrando così i rendimenti dei due comparti.

La seconda precisazione riguarda il rapporto prezzo-utili, il quale può scendere sia per una diminuzione del livello generale dei prezzi delle azioni, ma anche per un aumento del livello medio degli utili. Ebbene nel periodo ’60/’80 è vera la prima ipotesi: l’utile per azione scese al massimo del 20% , mentre lo S/P Composite passò da 700 ad un minimo di 260 nel 1982, una vera catastrofe. La diminuzione del rapporto prezzo/utili in quel periodo fu quindi determinata principalmente da un crollo dei prezzi del mercato azionario.

La spiegazione quindi del rapporto inversamente proporzionale fra il mercato delle azioni e quello delle obligazioni sta nel fatto che gli investitori destinano i loro capitali nei mercati azionari solo quando il maggior rischio che questi comportano è compensato da un adeguato differenziale dei rendimenti rispetto ai mercati obbligazionari: se devono proprio rischiare investendo in azioni lo fanno solo per guadagnare molto, altrimenti preferiscono investire in obbligazioni che sono più sicure. In quel periodo i rendimenti obbligazionari erano talmente elevati che resero molto poco appetibile l’investimento in azioni, e questo finì per deprimere i corsi azionari.

Ora guarda quest’altro grafico:

Historic Home To Rent Ratio

è il rapporto fra il prezzo medio delle abitazioni americane e il canone d’affitto medio annuale negli ultimi quarant’anni. In pratica misura ancora una volta la relazione fra prezzo e rendimento, questa volta però per le case invece che per le azioni.

Anche qui è immediatamente visibile l’enorme scostamento dalla media che i prezzi delle abitazioni hanno segnato a partire dal 2000 con un picco proprio nel 2006, anno dello scoppio della bolla immobiliare, ed un successivo sgonfiamento dei prezzi che sono ritornati a valori vicini alla media solo nel 2009.

Guardare dalla giusta distanza

Spero che tu abbia compreso a questo punto l’importanza di osservare i fenomeni economici e finanziari su intervalli di tempo molto lunghi. Questa utile pratica ci permette di guardare i fenomeni attuali con una prospettiva migliore e di inquadrarli in un contesto più ampio.

Se avessi guardato il primo grafico forse non avrei acquistato titoli tecnologici nel 2000 e mi sarei evitato brutte perdite. Per lo stesso motivo un investitore che avesse dato un’occhiata al rapporto P/E storico all’inizio degli anni ottanta si sarebbe di certo reso conto che il livello dei prezzi era eccessivamente basso rispetto alla media storica, e che quello era un periodo perfetto per investire nei mercati azionari, anche se i rendimenti obbligazionari erano apparentemente più invitanti.

Per essere quindi dei buoni investitori bisogna imparare a riconoscere quando il prezzo di un bene è troppo alto, e non ho detto il prezzo di un’azione, ma proprio di un bene, un qualsiasi bene. L’esempio del mercato immobiliare in questo senso è illuminante: avresti mai investito in un appartamento nel 2005 se ti avessi mostrato il secondo grafico? Sono sicuro che non l’avresti fatto.

Conviene investire nelle azioni oggi?

A questo punto ti starai chiedendo: “com’è oggi il rapporto prezzo/utili? Conviene investire nel mercato azionario?“.

In base a quanto detto il primo fattore che devi considerare è l’attuale rapporto prezzo-utili, che nel momento in cui si scrive si attesta ad un valore superiore a 30, quindi ancora molto alto.

Questo non significa però che in futuro non ci possa essere spazio per mercati azionari in salita, è però probabile che la tendenza generale nei prossimi anni sia quella di un “ritorno alla media” del rapporto P/E, come già avvenuto fra il 2008 e il 2009, che potrà realizzarsi sia attraverso un calo generalizzato dei prezzi delle azioni sia con un lungo periodo di stasi dei prezzi e di contestuale crescita degli utili.

Inoltre bisogna sottolineare il fatto che un alto rapporto prezzo/utili di un indice non necessariamente implica che tutti i titoli che lo compongono siano eccessivamente costosi: è infatti probabile che alcuni titoli presentino un rapporto P/E molto più basso, e siano pertanto convenienti dal punto di vista di un investitore.

La lezione che ho imparato in questi anni e che vorrei trasmetterti è quindi che per essere un buon investitore devi innanzitutto imparare a valutare i singoli titoli e chiederti sempre se il prezzo che stai pagando per quel titolo non sia eccessivamente alto rispetto al reddito che ti potrà assicurare.

Uno degli investitori di maggior successo di tutti i tempi, Warren Buffet, ha sempre sostenuto che è meglio comprare un discreto titolo ad un ottimo prezzo pittosto che un ottimo titolo ad un prezzo discreto. Puoi anche comprare un titolo che promette di farti guadagnare tanto ma se lo paghi troppo rischi di subire enormi perdite se quella promessa non verrà mantenuta, proprio quello che è successo con i titoli tecnologici nel 2000.

Per approfondire:

[amazon_link asins=’8823833973,8820348608,B017HAU3MU’ template=’ProductCarousel’ store=’affiliateidmi-21′ marketplace=’IT’ link_id=’8ac6c1b3-2f84-11e8-af4c-93b928dd90cb’]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *